Odori

Questa sera mi è ritornata alla mente una scena dello splendido film di Guillaume Galienne les garçons et Guillaume à table, nella quale il protagonista* passando lungo i corridoi di quella magnifica villa dove è ambientata la sua giovinezza si sofferma ad annusare la giacca del padre, mollemente abbandonata ed ammiccante. La raccoglie avido e ci affonda dentro la faccia aspirando a pieni polmoni.

Anche io lo facevo, da ragazzina; quando trovavo le magliette del mio, di padre, le annusavo cupida attendendo che mi cogliesse quel senso di beata tranquillità che solo il suo odore sapeva darmi. Nulla è mai più riuscito a calmarmi così, a farmi sentire al sicuro e rincuorata**.

E’ una strana cosa l’olfatto. Un retaggio animalesco che rievoca i ricordi più vividi e che riesce a farci accedere all’intangibile universo dei sensi passando per un atto naturale e necessario come la respirazione.

Mentre all’università stavo preparando un esame intitolato Storia delle religioni e, nello specifico stavo approfondendo quella islamica, ho letto con grande interesse che nella cultura mediorientale si considera l’uso del deodorante come una grande mancanza di personalità. Parafraso brutalmente affermando che l’assenza di odore comporta l’annullamento del proprio “essere” portando l’uomo a non esistere più in quanto tale ma solo come surrogato diluito.

Questo mi viene sempre alla mente quando sento dire che gli arabi puzzano.

Potrei parlare di Suskind ma sarei costretta ad indugiare sugli aspetti autistici del protagonista e questo sposterebbe di molto il centro di questo post.

Potrei parlare di Proust ma in questo caso correrei il rischio di diventare banale e non vorrei mai annoiarvi con una reinterpretazione da terza media.

Restiamo sugli odori in generale, quindi. Universo infinito ed insondato a causa della sua natura inconsistente.

Ho molte amiche che odiano sudare perché, dicono, non sopportare il loro stesso olezzo; una cambia i vestiti tutti i giorni perché non sopporta di ritrovare il proprio odore, un’altra mette assorbenti sotto le ascelle che, incollandosi al tessuto delle magliette, le danno l’illusione di essere odor-proof, un’altra ancora si fa la doccia due volte al giorno e l’ultima di questa incredibile serie si mette il deodorante ogni volta che va in bagno. Assurdo quello che si arriva a fare per non attirare sguardi di disapprovazione o nasi ficcati nei posti più impensati. Io mentre preparavo l’esame di maturità non mi sono lavata per una settimana, ed era luglio. Potete pensare quello che volete, ma si sta bene avvolti nella bolla delle proprie puzze, lo sanno anche –e soprattutto- i bambini, amanti dello sporco e inconsapevoli portatori dei peggiori bacilli che ho mai incontrato in vita mia.

Mi piacciono gli odori, soprattutto quelli delle persone che amo. Posso portarli con me nel cuore ed evocarne l’effetto quando la malinconia mi abbraccia. Funzionano meglio di una fotografia sono più reali di un’immagine, in ogni caso. Profumo di abbracci lontani, di cene e di sorrisi.

Qui in Francia un’amica mi ha fatto provare una crema per le mani all’olio di pastello (fiore del sud che si utilizzava per ricavare una tintura azzurra per i tessuti) chiedendomi cosa ne pensassi. Quando ho aperto il tubetto e ne ho aspirato il profumo sono subito apparse davanti a me le imposte verde scuro tra le quali s’infiltra un sole giallo e polveroso in una domenica fredda degli inizi di marzo, le tortore che tubano sui fili della luce ed il cancello grigio che cigola. Era lo stesso odore delle domeniche mattina a casa della nonna, nel lettone con le lenzuola di fustagno ed il copriletto arabescato.

La continuo a mettere quella crema e benché abbia perduto un po’ dell’iniziale effetto Madeleine, resta un profumo piacevole. In più, devo aggiungere che qualche giorno fa un amico mi ha chiesto se mi fossi messa la lacca perché sentiva un odore strano: mi ero appena messa la crema di pastello. Il fatto che lui abbia classificato in un modo così prosaico il profumo a me così caro mi ha fatto molta specie, ho concluso che è un essere privo di fantasia.

Dans tous cas non è che volessi pontificare su chissà quale aspetto della vita. Avevo giusto voglia di condividere una divagazione su un argomento poco trattato.

* che è anche sceneggiatore e regista della pellicola; vi consiglio caldamente di vedere questo film (distribuito anche in Italia). Il titolo italiano è un orrore, tengo a specificarlo.

** Tengo a precisare che lui “in carne ed ossa” non è mai riuscito ad ottenere lo stesso effetto; personalmente non ne è mai stato capace, ma le sue t-shirt sì.

So dirti chi fossi

Potrei mettere un bel cappello a questo post, aggiungervi piume e perline per giustificare queste magnifiche pagine che un altro autore ha così abilmente scritto per me secoli fa. E’ molto semplice: ciò che pensiamo oggi, siamo nel 2016 per la maggior parte, è già stato; nulla di più arguto potrei aggiungere io. Niente se non che la convinzione granitica di quello che siamo non ci risparmia dal sempiterno cambiamento.

Il Bruco e Alice si guardarono a vicenda per qualche tempo in silenzio; finalmente il Bruco staccò la pipa di bocca, e le parlò con voce languida e sonnacchiosa: Chi sei? — disse il Bruco. Non era un bel principio di conversazione. Alice rispose con qualche timidezza: — Davvero non te lo saprei dire ora. So dirti chi fossi, quando mi son levata questa mattina, ma d’allora credo di essere stata cambiata parecchie volte. — Che cosa mi vai contando? — disse austeramente il Bruco. — Spiegati meglio. — Temo di non potermi spiegare, — disse Alice, — perchè non sono più quella di prima, come vedi. — Io non vedo nulla, — rispose il Bruco. — Temo di non potermi spiegare più chiaramente, — soggiunse Alice in maniera assai gentile, — perchè dopo esser stata cambiata di statura tante volte in un giorno, non capisco più nulla. — Non è vero! — disse il Bruco. — Bene, non l’hai sperimentato ancora, — disse Alice, — ma quando ti trasformerai in crisalide, come ti accadrà un giorno, e poi diventerai farfalla, certo ti sembrerà un po’strano, — non è vero? — Niente affatto, — rispose il Bruco. — Bene, tu la pensi diversamente, — replicò Alice; — ma a me parrebbe molto strano. — A te! — disse il Bruco con disprezzo. — Chi sei tu? E questo li ricondusse di nuovo al principio della conversazione. Alice si sentiva un po’ irritata dalle brusche osservazioni del Bruco e se ne stette sulle sue, dicendo con gravità: — Perchè non cominci tu a dirmi chi sei? — Perchè? — disse il Bruco. Era un’altra domanda imbarazzante. Alice non seppe trovare una buona ragione. Il Bruco pareva di cattivo umore e perciò ella fece per andarsene. — Vieni qui! — la richiamò il Bruco. — Ho qualche cosa d’importante da dirti. La chiamata prometteva qualche cosa: Alice si fece innanzi. — Non arrabbiarti! — disse il Bruco. — E questo è tutto? — rispose Alice, facendo uno sforzo per frenarsi. — No, — disse il Bruco. Alice pensò che poteva aspettare, perchè non aveva niente di meglio da fare, e perchè forse il Bruco avrebbe potuto dirle qualche cosa d’importante. Per qualche istante il Bruco fumò in silenzio, finalmente sciolse le braccia, si tolse la pipa di bocca e disse: Nessun testo alternativo — E così, tu credi di essere cambiata? — Ho paura di sì, signore, — rispose Alice. — Non posso ricordarmi le cose bene come una volta, e non rimango della stessa statura neppure per lo spazio di dieci minuti! — Che cosa non ricordi? — disse il Bruco. — Ecco, ho tentato di dire “La vispa Teresa” e l’ho detta tutta diversa! — soggiunse melanconicamente Alice. — Ripetimi “Sei vecchio, caro babbo”, — disse il Bruco. Alice incrociò le mani sul petto, e cominciò:

“Sei vecchio, caro babbo” — gli disse il ragazzino —
“sulla tua chioma splende — quasi un candore alpino;
eppur costantemente — cammini sulla testa:
ti sembra per un vecchio — buona maniera questa?”

“Quand’ero bambinello” — rispose il vecchio allora —
“temevo di mandare — il cerebro in malora;
ma adesso persuaso — di non averne affatto,
a testa in giù cammino — più agile d’un gatto.”

“Sei vecchio, caro babbo” — gli disse il ragazzino —
e sei capace e vasto — più assai d’un grosso tino:
e pur sfondato hai l’uscio — con una capriola;
“dimmi di quali acrobati — andasti, babbo, a scuola?”

“Quand’ero bambinello.” — rispose il padre saggio,
per rafforzar le membra, — io mi facea il massaggio
sempre con quest’unguento. — Un franco alla boccetta.
“chi comperarlo vuole, — fa bene se s’affretta”

“Sei vecchio, caro babbo,” — gli disse il ragazzino, — Nessun testo alternativo
“e tu non puoi mangiare — che pappa nel brodino;
pure hai mangiato un’oca — col becco e tutte l’ossa
Ma dimmi, ove la pigli, — o babbo, tanta possa?”

“Un dì apprendevo legge.” — il padre allor gli disse, —
“ed ebbi con mia moglie continue liti e risse,
e tanta forza impressi — alle ganasce allora,
tanta energia, che, vedi, — mi servon bene ancora.”

“Sei vecchio. caro babbo,” — gli disse il ragazzino Nessun testo alternativo
“e certo come un tempo — non hai più l’occhio fino:
pur reggi in equilibrio — un pesciolin sul naso:
or come così desto — ti mostri in questo caso?”

“A tutte le domande — io t’ho risposto già,
“e finalmente basta!” — risposegli il papà:
“se tutto il giorno poi — mi vuoi così seccare.
ti faccio con un calcio — le scale ruzzolare”

— Non l’hai detta fedelmente, — disse il Bruco. — Temo di no, — rispose timidamente Alice, — certo alcune parole sono diverse. — L’hai detta male, dalla prima parola all’ultima, — disse il Bruco con accento risoluto. Vi fu un silenzio per qualche minuto. Il Bruco fu il primo a parlare: — Di che statura vuoi essere? — domandò. — Oh, non vado tanto pel sottile in fatto di statura, — rispose in fretta Alice; — soltanto non è piacevole mutar così spesso, sai. — Io non ne so nulla, — disse il Bruco. Alice non disse sillaba: non era stata mai tante volte contraddetta, e non ne poteva proprio più. — Sei contenta ora? — domandò il Bruco. — Veramente vorrei essere un pochino più grandetta, se non ti dispiacesse, — rispose Alice, — una statura di otto centimetri è troppo meschina! — Otto centimetri fanno una magnifica statura! — disse il Bruco collerico, rizzandosi come uno stelo, mentre parlava (egli era alto esattamente otto centimetri). — Ma io non ci sono abituata! — si scusò Alice in tono lamentoso. E poi pensò fra sè: “Questa bestiolina s’offende per nulla!” — Col tempo ti ci abituerai, — disse il Bruco, e rimettendosi la pipa in bocca ricominciò a fumare. Questa volta Alice aspettò pazientemente che egli ricominciasse a parlare. Dopo due o tre minuti, il Bruco si tolse la pipa di bocca, sbadigliò due o tre volte, e si scosse tutto. Poi discese dal fungo, e se ne andò strisciando nell’erba […]

 

 

Caulfield alle celebrazioni della Prima Guerra Mondiale – Caulfield at WWI celebrations

[english version down below]

Oggi si celebra l’armistizio della prima Guerra mondiale, qui. Da noi come festa l’hanno tolta per lasciare più spazio a qualche celebrazione cattolica. Scelta interessante, non trovate?

Si celebra l’ Armistizio, non la Pace. Chiarisco.

Tecnicamente la 1 Guerra Mondiale non è mai finita, anche se non ha impedito alla Seconda di scoppiare.

Sono andata al parco, stamattina, a portare a spasso il cane ed a leggere; quasi come ogni giorno. Solo che mi ero dimenticata che davanti c’è una placca commemorativa per i caduti alla WWi, quindi ho trovato, assiepati tutt’intorno, militari di ogni sorta, gente venuta apposta, la banda militare.

Sono entrata nel parco e sono andata a sedermi nell’anfiteatro, che è tutto incorniciato da una alta siepe e nel quale ho potuto mollare il cane senza pericolo che andasse in giro a rompere le scatole. Ogni tanto passavano gruppetti delle armate di terra, tutti ben allineati e puliti, che si davano il ritmo nella marcia a suon di “ho!”.

Sono sempre stata affascinata dalle uniformi dei militari, specialmente dai guanti bianchissimi. Quei guanti lì imbracciano le mitragliette anche adesso, durante le celebrazioni per l’armistizio, strette al petto, la punta verso l’alto. Personalmente ho una paura fottuta delle armi da fuoco, mi fa paura anche quando qualcuno mette le dita a L e fa bang! con la bocca. Io chiudo sempre gli occhi, proprio non lo sopporto.

Le uniformi invece mi affascinano per un altro motivo: sono così perfette, immacolate e con i bottoni lucidi, le scarpe brillanti ed il cappello calato alla giusta angolazione. Mi viene sempre da chiedermi quanto durerebbero in guerra quelle belle divise. Quanto tempo ci mettono a riempirsi della tua stessa merda, dopo che ti hanno sparato.

Secondo me lo stesso tempo dei vestiti normali.

Mi piace osservare il rigore. E’ così inutile. Non ci vuole niente per mandarlo in frantumi, basta una macchia, uno starnuto. E’ talmente ridicolo da fare paura per la sua feroce ottusità.

La fanfara ha cominciato a suonare una marcetta. Io seduta sul mio pilastrino di cemento, penso che Salinger non sarebbe stato contento di essere letto lì, con tutti quei militari intorno. A Caulfield invece non gliene sarebbe fregato, quindi ho contianuato nel mio proposito e sono rimasta lì per tre o quattro capitoli, mentre alle mie spalle i tamburi continuavano a rullare sottolineando le note delle canzoni militari.

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Today is celebrating  World War I armistice, here. In Italy this celebration was taken to leave more room for some Catholic stuff. Interesting choice, isn’t it?

It’s the ‘Armistice, not Peace, let me clarify.

Technically the first World War never ended, although has not prevented to the second to explode.

I went to the park this morning, to walk the dog and reading, as almost every day. I just forgotten that at the very side of the parc there is a commemorative plaque for WWI’s fallen soldiers, so I found crowding all around, all kinds of military, people came to wach the army and the army’s band.

I walk into the park slaloming. Each time some soldiers passed in small groups, all so aligned and clean, marching together to the sound of “oh!”.

I’ve always been fascinated by uniforms, especially white gloves. Those gloves there toting machine guns even now, during armistice celebrations, close to chest, the very tip upwards. Personally I’m fucking afraid of firearms, it scares me even when someone puts his fingers in L form and bang! with mouth. I always close my eyes, just cannot stand.

Uniforms instead fascinate me for another reason: they are so perfect, immaculate and with shiny buttons, clean shoes and hat placed down to the correct angle. I always ask to myself how long would last those beautiful uniforms in a real war. How long it takes to fill it up with your own shit, after you’re shot.

In my opinion it takes the same time than regular clothes.

I love to watch perfection. It’s so useless. It doesn’t take much to ruin itself, just a smudge or a sneeze. It ‘so ridiculous for his ferocious stupidity.

The military band began to play a march. I sat on a pillar and I start to think that Salinger would not be pleased to be read there, with all those soldiers around. Caulfield would not care at all, instead, so I keep reading for three or four chapters more, while behind me the drums continued to underline the moment with military songs.