La stagione degli amori in Francia (e poi dicono degli italiani…)

Quando torno in Italia mi sento chiedere spesso con aria maliziosa …allooora, questi uomini francesi? Quasi sempre rispondo storcendo la bocca o con un Mhf!

Nel Bel Paese kinopoisk.ruc’è il mito dell’accento, del romantico approccio al tramonto sugli champs Elisées, della rosa fra i denti e del berret sulle ventitré. Non voglio certo sfatare queste convinzioni, quello che posso fare però é darvi un’idea di quello che ho scoperto io a proposito del “sesso forte” dopo tre annetti passati qui.

Prima di tutto ho constatato che, contrariamente ai cani ed alle donne sposate, i maschi francesi sono arrapati tutto l’anno: se sei in un luogo pubblico e il tuo sguardo incrocia quello di un uomo per più di due volte, stai pur certa che il merlo in questione verrà a beccarti in mano. Stessa cosa se sei un abitudinario di cinema, parchi o teatro (c’é addirittura quelche sciagurata che si siede sempre allo stesso posto) e questo non fa che stimolare il virile interesse che, avanzando di fila in fila e successivamente di poltroncina in poltroncina, arriverà casualmente accanto alla tua ingaggiando una conversazione ammiccante con la quale sottolineerà tutte le volte che ti ha visto chiededoti di parlargli dei films che ti sono piaciuti. Ma questi sono solo alcuni esempi, credo sarebbe meglio passare alle cose fatte bene e descrivervi le categorie nelle quali ho inserito i testosteronici personaggi di questa gloriosa hit parade:

Le chasseur (il cacciatore): ti preda all’aria aperta, mentre stai passeggiando da sola (o con il cane e, a meno che non sia un cane dai denti a sciabola, il cacciatore non desisterà). Comincerà a fischiettare o a fare rumori con la bocca per richiamare la tua attenzione e se ti giri verso di lui (sorridendo o meno, non importa) si sentirà in diritto di venirti a dire quanto sei carina e chiederti se vuoi bere un caffè; se non bevi caffé ti proporrà un té, una birra, un cocktail, l’acqua del rubinetto, il sangue di Cristo, finché non ti stizzisci e semplicemente te ne vai. La prima volta sono stata colta di sorpresa, la seconda mi sono detta che non dovrei essere così curiosa, la terza che dovevo ricordarmi della seconda, la quarta e la quinta sono state molto dure, poi ci fai l’abitudine. Età media: sulla trentina.

Le blond (il biondo): contrariamente al cacciatore, il biondo (che non é sempre realmente biondo ma rende l’idea del maschio tirato e belloccio) rimorchia negli spazi chiusi o semiaperti; ingaggia con te una serie di sguardi, aspetta che tu abbia qualcosa da bere in mano poi avanza verso il tavolo a mezzo sorriso con il suo drink, cercando di sembrare attraente. A volte ci riesce. Età? tra i 24 e i 50.  Il biondo é solitamente una specie di Leonard Zelig della situazione: adattabile e accondiscendente; se tu sei italiana (esempio a caso), lui adora l’Italia, gli spaghetti, la pizza e il mandolino, se suoni la batteria (mi capita di dire delle immonde cazzate giusto per vedere cosa si inventano) comincia a tamburellare le dita sul tavolo come un consumato Keith Moon, se ami il cinema ti chiede quale é il tuo regista preferito e così via. Il modo per sbarazzarsene può essere duplice: scortese o subdolo. Scortese come rifiutare che ti accompagni a casa o ti offra ancora da bere, subdolo se gli lasci il numero sbagliato. In entrambi i casi non ci saranno conseguenze, se vi rincontrerete farà finta di non vederti e/o riconoscerti.

Le jeune (il giovinotto), anche conosciuto come Toy boy: come potete immaginare dal nome della categoria rappresenta la fascia d’età 19-27 e non ha alcun problema a rimorchiare ragazze plus agée. Normalmente appare durante la stagione calda, come se fosse stato ibernato durante i mesi invernali o, più probabilmente, attendeva gli fosse spuntato qualche pelo sulla faccia prima di lanciarsi in deliziose conversazioni da rimorchio. Il giovinotto è simpatico e molto, molto, vivace. Nel giro di qualche minuto ti ha già invitata alla festa dell’amico, al rave in campagna, alla discoteca vicina, a bere qualcosa con i compagni di corso, ad una partita a strip-biliardo. Una girandola di sconvolgente novità. Le jeune richiede parecchia energia e poco sonno, se volete cimentarvi nell’impresa. Vi prevengo che “la mattina dopo” lui riuscirà ad andare a scuola o al lavoro senza fare una piega, voi decisamente NO.

L’intello (l’intellettuale): di solito frequenta luoghi come librerie, biblioteche, convegni. L’intello si approccia solitamente come un simpatico e versatile essere umano dall’aria disinteressata e cortese. Niente di più falso. L’approccio dell’intellettuale –che appartiene ad una fascia d’età superiore ai 35 anni- ha la caratteristica di essere apparentemente legato al fato. Raccoglie un libro che hai fatto cadere, é in fila dietro di te e poi ti aspetta fuori, prende lo stesso opuscolo che stai guardando tu, eccetera. L’intello é affabile, ha un bel sorriso ed usa un deodorante efficace – cosa da non sottovalutare in Francia-, ti convincerà di essere una persona eccezionale (come se ce ne fosse bisogno) e ti chiederà il numero. Tu non glielo darai proponendogli invece un contatto facebook, molto meno invasivo. Comincierà così una specie di corrispondenza fatta di scambi dal sapore culturale (prima) e di inviti più o meno espliciti (poi). Se l’ego contenuto nelle coulottes dell’intello non viene sollecitato questo, ahimé, ti lascerà sempre meno messaggi facendoti credere che sia colpa tua se non ti scrive più. Poi vedi delle foto di lui e una rumena su FB e tutto diventerà più chiaro. L’intello tornerà ciclicamente (come l’influenza e le tasse) variando la strategia e non lasciando nulla di intentato pur di avere la meglio. E per “la meglio” intendo la patata.

Le kamikazé (il kamikaze): devo ammettere che questo tipo di maschio mi è capitato solo una volta ma è stata molto istruttiva. Ero ad un evento sociale poliglotta ed io ero con alcune persone che parlavano inglese tra cui questo uomo sulla cinquantina, ingegnere, che mi racconta di essersi trasferito a vivere in questa città perché si è sposato con una del posto, che suona la chitarra e cose così. Alla fine della serata mi chiede il numero ed io gli do il contatto FB (vedi paragrafo de l’intello ) e qui, qualche giorno dopo, mi ritrovo tra i messaggi un’infuocata lettera d’amore nella quale dice che non fa altro che pensare a me e che il mio ricordo lo tormenta; mi chiede accorato di fare qualcosa, qualsiasi cosa! Tipo dirgli che sono sposata o gay, pur di fargli passare questa passione che lo consuma. Io gli rispondo con un due di picche clamoroso, sicura che sia finita lì. Grave errore! Mi ri-scrive spiegandomi che IO non ho capito bene, che IO sono evidentemente alla ricerca di qualcosa di magnifico nella mia vita MA che quando questa arriva non sono in grado di riconoscerla [applausi].

Per concludere posso aggiungere che l’homme français non ha nessun problema anche se è in coppia, convive, è sposato, ha figli o nipoti: ci prova sempre. Poi forse sono io che non me ne sono mai accorta o che vivo su un altro pianeta, ma i maschi italiani non mi pare siano così. In ogni caso potete usare queste informazioni come più vi piace, di certo potranno esseri utili se prevedete di passare un po’ di tempo qui.

Intervista a Erik Gandini, regista di Videocracy

Questa intervista, ricevuta sulla nostra mail personale è strettamente correlata al post precedentemente pubblicato. Speriamo che, anche da questo post, potrete ricavare un pochino di informazione in più.

ERIK GANDINI: QUELLA TV DI TRONISTI E LETTERINE
Tutto cominciò nel 1976 con il programma ‘Spogliamoci insieme’
[di Stefano Stefanutto Rosa]

“Videocracy non è partito come un film per l’Italia, ma tutte le persone
intervistate nel documentario hanno firmato una dichiarazione di
liberatoria per tutto il mondo. Non c’è nessun problema di questo genere
con il fotografo Fabrizio Corona, ci siamo chiariti, è tutto risolto. Spero
che venga al Lido, ci stiamo accordando”.

Eric Gandini, classe 1967, da tempo trasferito in Svezia, firma il
documentario che racconta il mondo e i ‘mostri’ creati dalla tv
commerciale, che ha modificato nel corso degli ultimi tre decenni i
comportamenti di tanti italiani, creando consenso e immedesimazione con i
modelli quotidianamente mostrati.
Ecco allora il press agent Lele Mora che nella sua ‘Casa Bianca’ sulla
Costa Smeralda, circondato da tronisti, protagonisti del ‘Grande Fratello’
e altri aitanti giovani maschi, ascolta soddisfatto la suoneria del suo
cellulare, l’inno fascista ‘Faccetta nera’, e azzarda confronti tra Benito
Mussolini e l’attuale presidente del Consiglio. Ci sono i provini un po’
patetici di ragazze alla ricerca di un posto al sole in qualche programma
Mediaset; le feste al Billionaire, il locale per vip di Flavio Briatore; il
palestrato Ricky che da anni attende l’occasione della sua vita e infine
l’ex fotografo e presto attore Fabrizio Corona che condensa la sua
filosofia di vita in una fulminante battuta: “Sono una sorta di Robin Hood
che ruba ai ricchi per dare non ai poveri, ma a me stesso”.

C’è molto altro in Videocracy che, costato due anni di lavoro, incrocia le
immagini dell’ascesa di questa televisione con quelle della carriera
politica del suo creatore, Silvio Berlusconi. Il film, evento congiunto
della Settimana della critica e Giornate degli Autori e in sala con
Fandango il 4 settembre, è da poco uscito in Svezia dove c’è molto
interesse per le vicende politiche di casa nostra, e si vedrà presto sulle
reti televisive finlandesi e danesi.

E’ stato difficile parlare con questi volti della tv commerciale?
No, assolutamente. Queste persone mi incuriosivano molto, rappresentano un
mondo di cui non faccio parte e che è molto presente in Italia. Lele Mora
ci ha aperto casa sua in Costa Smeralda. Insomma tutti quelli che volevo
intervistare li ho raggiunti.

E il regista del ‘Grande Fratello’?
Fabio Calvi è un free lance che lavora sia con Rai che con Mediaset,
abbiamo alcuni amici in comune. Anche lui è stato molto disponibile, anche
perché in questo settore lavorano persone intelligenti e aperte.

E le immagini dei provini televisivi?
Tutti questi programmi hanno degli uffici stampa che si preoccupano di
accogliere la stampa straniera e consentono perciò il lavoro di fotografi e
di videoperatori, soprattutto a fine programma. Non è un mondo chiuso, vive
anzi moltissimo dell’esposizione verso l’esterno.

Che cosa l’ha colpita di Ricky, il giovane dei provini di ‘X Factor’?
La sua sincerità, esprime come pochi il suo sogno di andare in televisione
e lo fa in modo passionale. L’ho conosciuto, prima di ‘X Factor’, a un
casting televisivo. Accompagnerà a Venezia il documentario.

E il divertente spot elettorale di Forza Italia?
Lo spot con le donne che cantano “Meno male che Silvio c’è”, ce l’hanno
dato loro, come sempre con tanto di liberatoria.

Dove ha trovato la sequenza iniziale della preistoria della tv commerciale?
Risale al 1976, il programma s’intitolava ‘Spogliamoci insieme’, andava in
onda da Torino. Per i materiali devo ringraziare Alessio Fava che sta
preparando un documentario sugli inizi di questa tv e Pino Massi all’epoca
conduttore del programma, che ebbe un successo locale inaspettato.

Ha sacrificato del materiale in fase di montaggio?
Tantissimo, di solito per i documentari c’è un rapporto tra montato e
girato di 1 a 15, del resto il processo di scrittura è l’opposto di quello
di un film di finzione: la sceneggiatura viene scritta durante il
montaggio, mentre le riprese fanno parte della ricerca.

Lei considera “Videocracy” un documentario creativo.
Non faccio film su commissione, scelgo gli argomenti nei quali voglio
entrare in prima persona, fare esperienza, partecipando da osservatore
esterno e sono io raccogliere i fondi necessari. Nel mio lavoro non c’è
nessuna idea di obiettività o neutralità.

Lei presenta come profondo l’intreccio tra l’immaginario di questa tv e la
persona del suo inventore.

La premessa del mio lavoro è che l’Italia da 30 anni è avvolta in questa
cultura che considero una sorta di esperimento televisivo. La figura di
Silvio Berlusconi è inscindibile dalla tv commerciale italiana, le sue
visioni di stile di vita vi sono rispecchiate, vi è una comunanza, insomma
c’è il suo stampo.
Trent’anni non si cancellano con un colpo di spugna.
Spero che il mio metodo di osservare aiuti il cambiamento, perché sta a noi
decidere il futuro della nostra tv e della cultura in generale. Io faccio
film per raccontare qualcos’altro. Non è stato facile il ritratto di questo
mondo perché ha un po’ il monopolio di se stesso, si racconta molto da
solo. Non m’interessava parlare di Berlusconi riferendomi alle campagne
d’inchiesta con tanto di retorica giornalistica, volevo raccontare la
realtà in modo più emotivo.

Esiste la tv commerciale in Svezia?
Sì, è simile a quella italiana, ma le donne non appaiono così svestite come
da noi, e non è così dominante come in Italia, l’80% degli svedesi legge
ogni giorno i giornali. E poi c’è una televisione pubblica, diversa della
Rai, senza pubblicità ma con il canone, con una programmazione prevalente
di educational e documentari con l’obiettivo che faccia bene al Paese. In
Svezia il connubio italiano tra tv e potere politico viene giudicato
pericoloso.

Fonte: Ufficio Cinema Reggio Emilia, 0522-456632